Omelia – Messa Crismale,16 aprile 2025 mercoledì santo

Caro fratello nell’episcopato, cari presbiteri, cari diaconi, cari religiosi e religiose, e voi tutti fedeli che insieme a noi formate il popolo santo di Dio,
Cari ragazzi che nelle prossime settimane o nei prossimi mesi riceverete il sacramento della Confermazione con quell’olio santo che verrà fra poco benedetto.

Spiritualmente uniti e visibilmente raccolti nella chiesa cattedrale in questa occasione singolare, rendiamo grazie a Dio per il dono di tutti i ministeri che rendono bella la nostra Chiesa. Rendiamo grazie per il dono dell’Eucaristia che siamo chiamati a celebrare insieme.
Ma in particolare abbiamo veramente motivo per rendere grazie a Dio perché ancora una volta il Signore ci concede di esprimere visibilmente la comunione del presbiterio diocesano, insieme a tutto il popolo di Dio.

Tredici mesi sono ormai trascorsi dalla Messa crismale dello scorso anno. Un anno di intenso cammino della nostra chiesa locale. Anno che ci ha visti impegnati in tante attività pastorali, che ci ha visti impegnati in diversi ambiti dell’evangelizzazione. Che ha visto la ricomposizione di molti organi di partecipazione, tra questi voglio ricordare il Consiglio presbiterale e il Collegio dei consultori. Anno durante il quale sono stati riorganizzati molti servizi pastorali, alcuni sono stati creati di nuovi, sono stati rinnovati gli uffici della curia. Abbiamo continuato a partecipare al Cammino sinodale in Italia, che nonostante l’impennata recente, ha già dato dei frutti che rimangono nelle nostre mani e possono ispirare il cammino futuro, e che terminerà nell’autunno prossimo.

Cari Presbiteri ci è richiesto di vivere il nostro ministero in questi tempi complessi. Di per sé non c’è quasi nulla di nuovo, però in questo tempo che presenta aspetti così complicati i fondamentali sono importanti, non tanto a livello di testa quanto perché arrivino al cuore.
La chiamata a conformarci a Cristo Sacerdote si radica innanzitutto nella grazia fontale del Battesimo. La nostra vocazione è prima di tutto una risposta a colui che ci ha amato per primo. Diceva alcuni anni fa papa Francesco intervenendo a un simposio per una teologia fondamentale del presbitero:
«Non dobbiamo mai dimenticare che ogni vocazione specifica, compresa quella dell’Ordine, è compimento del Battesimo. È sempre una grande tentazione vivere un sacerdozio senza Battesimo […], senza cioè la memoria che la nostra prima chiamata è alla santità. Essere santi significa conformarsi a Gesù e lasciare che la nostra vita palpiti con i suoi stessi sentimenti (cfr Fil 2,15)» .

Il Papa individua quattro colonne per la nostra vita:
1) vicinanza a Dio
2)-3). vicinanza al vescovo e tra presbiteri
4) vicinanza al popolo.

1) La vicinanza a Dio
La prima colonna, il primo fondamento della nostra vita cristiana e presbiterale è la vicinanza a Dio. Il cristiano è un uomo di Dio, il prete è uomo di Dio. La prima fondamentale relazione, che costituisce l’identità del prete – sempre, in ogni tempo, in ogni luogo – è la relazione amicale con Gesù, lo stare con lui per ricevere e imparare il suo amore, per rimanere nel suo amore ed avere la gioia del far parte dei suoi, la gioia di sentirsi – come dice san Paolo – conquistati da Cristo così da dire «per me vivere è Cristo» (Fil 1,21). In 1Cor 2,16 Paolo esorta ad avere in noi i sentimenti di Cristo, il pensiero di Cristo. Paolo fa il punto, dice di sé, per me la mia vita è Cristo, punto molto semplice mentre a volte noi complichiamo all’infinito. La vita di Paolo ruota sempre attorno a Cristo; dal momento in cui l’ha incontrato non l’ha più mollato.
Questa prima dimensione è il principio e il fondamento della nostra vita.

    Inaugurando la sua missione (Mc 1,15) Gesù proclama: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». È una sintesi che inizia proclamando il dono grandissimo che ci previene e che fonda tutta l’esistenza cristiana. Il Regno di Dio è vicino, il tempo ha trovato il suo compimento in Gesù, tutta la storia ha trovato la sua convergenza in Cristo, tutti guardano al Signore o comunque sono guardati da lui, accompagnati da lui. L’offerta di grazia è prevalente, prioritaria e fondamentale, come ci attestano le letture di oggi, nelle quali Gesù si presenta come il profeta del Terzo-Isaia, consacrato, mandato da Dio «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore» (Is 4,18c-19). La vita cristiana è fondamentalmente un dono e grazia.

    L’angelo annuncia alla Vergine: «Rallegrati, Maria, piena di grazia. Il Signore è con te». Ma in verità è con tutti gli uomini, perché quanto sta per capitare in lei effonde l’amore di Dio su ogni creatura. Dovremmo fare attenzione alla grande gioia o, per dirla in termini pagani, alla grande fortuna che tutti noi abbiamo di essere amati gratuitamente e sempre, soprattutto quando non ce lo meritiamo.
    Quindi no allo scoraggiamento, alla tristezza, alla delusione e, alla disperazione che esiste anche tra noi.
    Tutto è grazia; anche le sofferenze che ci toccano che sono partecipazione alla Croce del Signore.
    Il Regno di Dio, l’onnipotenza dell’amore di Dio irrompe nella storia, nella storia universale e nella mia storia personale. Stiamo anche noi dentro a questa storia.

    La speranza cristiana, come ci ricorda l’anno giubilare, si fonda sul fatto che la grazia di Dio, la presenza del Regno di Dio e la gratuità è sempre presente. Non abbiamo il diritto di sperare, abbiamo il dovere di sperare.

    San Paolo nella lettera ai Romani (ma anche ai Galati) insiste molto su questa tesi. Siamo tutti peccatori, giudei e pagani, quindi siamo salvati gratuitamente, salvati per grazia, giustificati dall’amore di Cristo crocifisso risorto, preceduti accompagnati perdonati. Questa è la nostra speranza che sempre dobbiamo alimentare, specialmente nei momenti più critici in cui tocchiamo con mano le nostre povertà.
    La nostra vita è fondamentalmente dono da accogliere nella fede, è un dono estremo permanente su cui possiamo contare sempre.

    Di fronte a questo tipo di amore non può esserci che una risposta altrettanto totale, altrimenti siamo fuori misura. Dobbiamo dare il massimo ascolto e il massimo impegno a questo dono offerto, agli imperativi rivolti a noi con una vocazione particolare come è quella al ministero presbiterale. Dopo l’annuncio “il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino” c’è una chiamata a seguire Gesù. Gli imperativi suonano “seguimi!” oppure “vieni dietro a me!”. Nel vangelo di Giovanni: «rimanete nel mio amore». Prima l’imperativo alla sequela e poi la promessa a diventare pescatore di uomini. In tutti i casi è l’invito a entrare nella profonda amicizia di Gesù Cristo.
    Per questa amicizia, secondo papa Benedetto, «dobbiamo conoscere Gesù in modo sempre più personale, ascoltandolo, vivendo insieme con Lui, trattenendoci presso di Lui. Ascoltarlo – nella lectio divina, cioè leggendo la Sacra Scrittura in un modo non accademico, ma spirituale; così impariamo ad incontrare Gesù che ci parla… Il tempo che impegniamo per questo è davvero tempo di attività pastorale. Il sacerdote deve essere soprattutto un uomo di preghiera. Il mondo nel suo attivismo frenetico perde spesso l’orientamento. Il suo agire e le sue capacità diventano distruttive, se vengono meno le forze della preghiera, dalle quali scaturiscono le acque della vita capaci di fecondare la terra arida» .

    Chi è unito al Signore sente la gioia della comunione con lui, che non viene meno di fronte alle difficoltà. Non è semplice questione di pratiche religiose e pratiche di pietà, ma è questione di rapporto profondo intimo amicale con Gesù, che si nutre anche di queste cose, ma con uno spirito coinvolgente dalla testa ai piedi.
    Un altro motivo di gioia che allieta questa giornata. Dal sacramento dell’Ordine scaturisce una fraternità che è esistenziale e permanente. Non è solo un dono ontologico, ma anche da declinare ogni giorno nelle nostre relazioni. Se non siamo in comunione con il vescovo e con il presbiterio di fatto con potremmo celebrare. Questa comunione non è formale, non è apparente, non è superficiale, ma vuol dire che con tutte le difficoltà, le differenze e i problemi, ci sentiamo in comunione, uniti in profondità da Cristo, partecipi dello stesso ministero.

    Saper coltivare l’amicizia fra noi è saper far crescere la dimensione affettiva della comunione. Amici di Gesù, amici tra noi. Non è una amicizia formale o funzionale, ma anche autenticamente affettiva. Senza questa dimensione non siamo umani. Questa dimensione fraterna può sostenere il nostro ministero.
    Desidero in conclusione ricordare alcuni anniversari di ordinazione. Innanzitutto il 70° anniversario del decano del nostro presbiterio: Don Giuseppe Delogu, amministratore di Lu Bagnu, che pur non essendo fisicamente presente si unisce a tutti noi nella preghiera. E poi il 60° anniversario di Don Domenico Degortes e di Don Antonio Addis. Quest’anno non abbiamo nessun cinquantesimo ma il 25° di Don Paolo Pala. A tutti loro i nostri sinceri auguri e la vicinanza nella preghiera.

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