Omelia apertura dell’Anno Santo 2025, Festa della Santa Famiglia – Cattedrale di Tempio Pausania

Omelia apertura dell’Anno Santo 2025, Festa della Santa Famiglia – Cattedrale di Tempio Pausania 29.12.24

Ci ritroviamo, Carissimi, come popolo di Dio in cammino, in cui sono presenti tutte le componenti della compagine ecclesiale, tutti coloro che formano insieme il volto della nostra Chiesa locale; a tutti il mio augurio natalizio di serenità e pace in questo quinto giorno dell’Ottava e per l’Anno Giubilare.

I giorni del Natale sono tradizionalmente caratterizzati nelle nostre famiglie dai «doni dal cielo», cioè da doni la cui provenienza vorrebbe restare un po’ misteriosa, non attribuita direttamente a una persona, e per questo vengono fatti portare fittizziamente da personaggi che ormai fanno parte dell’apparato delle feste di Natale: Babbo Natale e la Befana, che arrivano guarda caso dal cielo con un carro trainato da renne o su una scopa volante, atterrano sul tetto delle case e scendono dal condotto di un camino. Questi particolari hanno una certa rilevanza perché dicono che non si muovono come gli altri uomini, e che in qualche modo appartengono a un mondo che sta fra la terra e il cielo e ciò che portano sono «doni dal cielo».

Un tempo a catechismo ai bambini si insegnava che noi esseri umani siamo sulla terra per conoscere ed amare Dio, e così un giorno arrivare in cielo. Ma questo insegnamento catechistico potrebbe essere opportunamente così rielaborato: «Noi cristiani siamo sulla terra non per andare un giorno in cielo, ma perché venga adesso il Cielo sulla terra». Pensiamo ai testi evangelici in cui Gesù parla del regno dei Cieli o del regno di Dio. Con i suoi insegnamenti e con le sue azioni Gesù ha assicurato che il Cielo già penetra e modella la vita e la convivenza delle persone. La vita sulla terra dovrebbe diventare più “celeste”, più “a forma del regno di Dio” e quindi più umana. Per questo ha insegnato al suo popolo a pregare «venga il tuo regno». Il regno di Dio irrompe fin da ora nella storia e nella società umana e in quella del futuro in attesa. Il prefazio della festa di Cristo Re celebra il Regno di Dio come «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Affinchè la sua preoccupazione per la venuta del regno di Dio non venisse dimenticata, Gesù fondò un movimento ebraico, infatti aveva scelto 12 uomini numero corrispondente alle 12 tribù di Israele, movimento all’inizio denominato di «quelli appartenenti alla Via» (cfr. At 9,2), ben presto e fino ad oggi è conosciuto con il nome di Chiesa. La sua missione è mantenere vivo il ricordo e l’efficacia di quanto iniziato da Gesù attraverso il racconto/la narrazione e l’azione in quella che Paolo chiama la «fine dei tempi» (1Cor 10,11), cioè l’era della Chiesa, che anche noi stiamo vivendo. In termini concreti, ciò significa che questo movimento chiamato Chiesa contina a cantare e suonare il paradiso al mondo d’oggi. Dà letteralmente “doni dal cielo” al nostro mondo traballante. Tra questi doni dal cielo io penso che possiamo vedere anche l’anno del Giubileo. Tempo di pellegrinaggio, di riconciliazione, di misericordia senza limiti, perché è Dio che ci viene incontro.

Questo Anno Santo ordinario 2025, papa Francesco ha voluto fosse dedicato in particolare alla speranza. Scrive il Papa nella bolla di indizione Spes non confundit – che invito tutti a leggere nella sua interezza, dove troverete tanti temi utili per vivere questo Giubileo: «La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indìce ogni venticinque anni. Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari. Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1)».

Nel mondo impaurito di oggi il cristianesimo può ancora essere una fonte inesauribile di speranza. Essa è forse il più grande tra i doni del cielo nei nostri tempi così povero di uno sguardo positivo e fiducioso verso il presente e il futuro. Questo trasforma i cristiani in promotori della speranza, in levatrici di speranza. Soprattutto nel nostro Vecchio continente vediamo le Chiese cristiane che stanno aiutando le popolazioni a resistere in mezzo alla crescente paura. Infatti il mondo attuale vacilla sotto il peso di guerre devastanti, dell’emergenza climatica, della crescente migrazione, ma anche di tante altre preoccupazioni. Questa condizione spaventa sempre di più molte persone. In molte culture l’umanità sta esaurendo le sue risorse di speranza. La paura si diffonde. Ma la paura erode la solidarietà e rende malvagi. Un segno di questo esaurirsi della speranza è – come dice papa Francesco nella bolla giubilare: « la perdita del desiderio di trasmettere la vita. A causa dei ritmi di vita frenetici, dei timori riguardo al futuro, della mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, di modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto anziché la cura delle relazioni, si assiste in vari Paesi a un preoccupante calo della natalità » (SNC, 9). Ciò che può curare dalla tossicità della paura emotiva che coinvolge tanti, non è la sicurezza, non sono l’isolamento e le posizioni difensive, non è la deterrenza, ma sono in definitiva la fiducia e il dialogo non violento «l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura» (SNC, 8). Uno dei grandi compiti del cristianesimo in Europa oggi è rafforzare la fiducia fondamentale con cui le persone nascono, e che rende possibile sussistere in mezzo a una paura disperata e feroce.I cristiani possono essere levatrici di speranza, rivelando le fonti spirituali della speranza e facendole fluire attraverso racconti, narrazioni e rituali. D’altro canto i cristiani si devono coinvolgere nella costruzione politica del mondo. I cristiani non formano un partito politico, ma prendono parte alla vita politica portando avanti quegli ideali che sono espressi nella cosiddetta “dottrina sociale della Chiesa”.

Affinché ciò accada, le Chiese cristiane in Europa devono essere in grado di attuare un ripensamento. Esse stanno attraversando una difficile trasformazione della loro struttura nel nostro Continente e in altre parti del mondo, attualmente sembrano preoccuparsi principalmente di sé stesse. Nella loro vita attuale quasi tutto sembra ruotare attorno alla ricerca della sistemazione della loro vita e struttura “sociale” nel senso della Lumen gentium, e non rimangono più molte forze per la Gaudium et spes, per intenderci richiamando due grandi costituzioni conciliari. Si rischia un’implosione fatale della Chiesa: le nostre chiese si vanno svuotando perché troppo spesso risultiamo incapaci di guarire la ferita aperta di Dio. La gelosia di Dio per la sua “terra” (cf. Gl 2,18), per il suo mondo, rimane in gran parte sullo sfondo. Mi incoraggia il fatto che stia emergendo un movimento più attento e sensibile, probabilmente provocato dallo Spirito di Dio, che opera sempre e dove vuole, ma che in questo caso viene dal di fuori delle Chiese. Dovremmo prestagli più attenzione.

Non sono ancora molti quelli che cercano “l’immensità” come la canta il Salmo 18: «Mi assalirono nel giorno della mia sventura, ma il Signore fu il mio sostegno, mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene». Altri nella loro angoscia non cercano la vastità che salva, ma piuttosto un vuoto inappagante. Attuano una fuga dalla vita senza senso. Diventano ammalati a causa dei mali della nostra società, della sua ristrettezza e della mancanza di un senso sostenibile: si rifugiano nella droga, nell’alcool, nelle vite virtuali, alcuni nelle sette, troppi nel suicidio. In Europa, soprattutto nei paesi del Nord, abbiamo assistito all’addio di molti alle Chiese, alle loro consolazioni rituali e ai loro tesori di significato. Non possiamo pensare che non ci riguardi, perché generalmente ciò che succede in questi paesi anticipa, di un decennio o due, quando poi capiterà anche da noi. Se ascoltiamo con attenzione una domanda nuova, viene sommessamente posta: chi colmerà il vuoto di Dio che il secolarismo ha lasciato dietro di sé? Chi guarirà la ferita di Dio di cui soffrono alcuni divenuti agnostici o atei? Chi aprirà agli uomini il Cielo che a molti pare chiuso?Per questo nel Cammino sinodale intrapreso da anni abbiamo affrontato il tema della missione in situazione di prossimità. Cosa è successo negli ultimi sei mesi nelle nostre comunità? Abbiamo cominciato a fare qualche passo concreto in questa direzione? Uno dei punti da cui partire, richiamato dal Sinodo generale dei vescovi conclusosi nell’ottobre scorso, dice: « Su questa strada una Chiesa sinodale s’impegna a camminare, nei diversi luoghi in cui vive, con i credenti di altre religioni e con le persone di altre convinzioni, condividendo gratuitamente la gioia del Vangelo e accogliendo con gratitudine i loro rispettivi doni: per costruire insieme, da fratelli e sorelle tutti, in spirito di mutuo scambio e aiuto (cfr. GS 40), la giustizia, la fraternità, la pace e il dialogo interreligioso». (Doc. finale Sinodo 2021-2024, 123). Faccio mio l’invito della Chiesa italiana a « Promuovere nell’ottica della fede la costruzione della cultura della pace, della nonviolenza e dell’obiezione di coscienza e costruire alleanze ecclesiali e sociali sui temi dell’educazione, della cura del creato e dello sviluppo umano integrale. Alcune scelte concrete in questi diversi ambiti possono essere la costruzione di patti educativi territoriali, la formazione a stili di vita e scelte ecclesiali sostenibili, la costituzione di comunità energetiche, la promozione di esperienze di fraternità politica e civica per migliorare la vita delle città e dei quartieri, la collaborazione e la condivisione con diverse Chiese cristiane e comunità religiose presenti nel territorio » Str. Lavoro, 25.1).

Ecco allora che questo Giubileo può divenire realmente un tempo favorevole per camminare insieme, per edificare insieme, per confessare a tutti la nostra speranza.