Omelia Giorno di Natale 2024, Concattedrale di Castelsardo

Omelia Giorno di Natale 2024, Concattedrale di Castelsardo

Ci siamo radunati oggi intorno alla culla di un bambino. Un bambino di una famiglia galilea di duemila anni fa. Una famiglia che non aveva una particolare rilevanza sociale e che non cercava prestigio, che non cercava di emergere, di avere una posizione di riguardo. Ma che Dio ha scelto per una missione unica di essere l’ambiente familiare per la crescita di Gesù di Nazareth.
Allora proviamo a chiederci quest’oggi chi è Gesù di Nazaret per noi?
Alcuni affermano che sia un grande maestro di religione e di etica, una sorgente ricchissima di energia spirituale; e su questa risposta sarebbero d’accordo in molti.
Per altri è un profeta che con la sua parola ha messo gli uomini di fronte alla volontà di Dio; anche su questo con molti si potrebbe trovare un accordo.

Ma per la fede della Chiesa questo non basta. Nei primi Concili Ecumenici – Nicea del 325, Costantinopoli I del 381, e poi Efeso e Calcedonia – la Chiesa ha espresso la sua fede proclamando che: “Gesù è il Figlio di Dio, consustanziale al Padre, Dio generato da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”.

Ma c’era proprio bisogno di un’affermazione così alta (“della stessa sostanza del Padre”), tanto da diventare incredibile? Perché la Chiesa si è messa sulla strada di una definizione di questo genere? Possiamo tentare di dare una risposta a questa domanda partendo dal brano della seconda lettura che abbiamo ascoltato.
La Lettera agli Ebrei comincia con un piccolo prologo ricchissimo di significato. Questa Lettera dice che Dio è uscito dal suo mistero rivolgendo all’uomo una parola di amicizia, anzi più volte in modi diversi Dio ha parlato agli uomini in una lingua umana, attraverso i profeti (cfr. Eb 1, 1); in questo modo Dio ha:

  • detto agli uomini il suo amore,
  • manifestato la sua volontà – i comandamenti,
  • promesso la salvezza,
  • rimproverato per i peccati,
  • consolato in mezzo alle sofferenze.

Insomma, attraverso tutta questa molteplicità di parole, Dio ha chiamato l’uomo a vivere davanti a Lui in un rapporto di alleanza, di amicizia e di amore.
È difficile esagerare l’importanza della parola di Dio nella vita dell’uomo. Attraverso questa “Parola” l’uomo viene chiamato all’esistenza, e nella risposta a questa Parola l’uomo trova la sua identità più vera. L’uomo è fatto per ascoltare la Parola e per stabilire con Dio che gli parla un rapporto di fiducia e di amore.
Ma ora, dice sempre la Lettera agli Ebrei, dopo le molte parole dei profeti, «Dio ci ha parlato attraverso il suo stesso Figlio, che Egli ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1, 2).
Alle tante parole che hanno illuminato la storia del popolo di Israele, viene accostata un’unica Parola, questa volta non più provvisoria, ma ultima e definitiva.
Ma in che cosa consiste questa ultima Parola? Certo, nei discorsi di Gesù ma non solo, anche nelle sue opere ma non solo, tutta la persona stessa di Gesù è rivelazione di Dio.
La Lettera agli Ebrei lo dice con un’immagine stupenda: «Gesù è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1, 3a). Vuole dire che l’uomo Gesù di Nazaret è bello della bellezza e della santità di Dio.
Per esempio, questo si vede quando:

  • sul monte, capovolgendo la scala mondana dei valori, proclama «[3]Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3);
  • a Cana, Gesù dona un vino abbondante e squisito migliore di quello che gli sposi si siano potuti procurare da sé (cfr. Gv 2, 1-11);
  • Gesù dice al paralitico: «Ti sono perdonati i tuoi peccati» (Lc 5, 20);
  • soprattutto sulla croce, «Gesù, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13, 1).
    In tutti questi episodi chi guarda Gesù con attenzione, non solo con gli occhi della carne ma con gli occhi del cuore e della coscienza, può riconoscere in Gesù i lineamenti di Dio.

Ancora, dice la lettera agli Ebrei: «Gesù è impronta della sostanza del Padre». È come se il Padre avesse impresso nella natura umana di Gesù la sua figura e immagine come un sigillo sulla cera, come uno stampo sulla creta fresca.
In Gesù l’umanità è plasmata secondo la forma di Dio: pensieri, desideri e azioni di Gesù sono in piena sintonia con Dio.
Pensate alle espressioni del vangelo secondo Giovanni:

  • «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere – portare a perfezione – la sua opera» (Gv 4, 34).
  • «Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere» (Gv 14, 10).

Tutto questo viene espresso nel Nuovo Testamento con il tema dell’ “obbedienza di Gesù al Padre”, un’obbedienza che abbraccia tutta la vita e trova la sua perfezione nella passione e nella morte.
Possiamo riassumere così:
Dio si è manifestato nella persona, nella vita e nella morte di Gesù, così come una sorgente luminosa si manifesta nei raggi che la diffondono, così come un sigillo nella cera che ne porta l’impronta.
In questo senso si può dire che tutta la vita di Gesù è come una parola-lettera di Dio all’umanità, e ascoltando questa Parola impariamo che Dio è amore, perdono, riconciliazione, grazia, santità e misericordia; impariamo che l’uomo è chiamato ad amare, e che la maturità dell’amore è la sua vera misura.

Potremmo proseguire facilmente e trovare in ogni pagina del Vangelo, in ogni episodio della vita di Gesù, una qualche rivelazione del mistero di Dio e del mistero dell’uomo.
Ma qui viene la domanda decisiva. Che Gesù riveli qualche cosa del mistero di Dio non fa problema, credo, a nessuno; che Gesù sia un uomo da ammirare, anche questo non fa problema a nessuno.
Ma come valutare la rivelazione di Gesù? Come una delle tante o come una rivelazione unica e definitiva? Gesù va collocato nella serie dei profeti o va collocato a parte in una posizione unica? E dopo Gesù ci si deve aspettare qualche altra rivelazione o no?
Quando i primi Concili hanno definito che Gesù è il Figlio di Dio, hanno volto affermare che la rivelazione di Dio in Gesù possiede uno statuto unico. Questo non cancella le altre rivelazioni, come se fossero nulla, ma le sottopone al criterio supremo della rivelazione di Gesù: non ci saranno altre rivelazioni che possono alterare o trasformare quello che Gesù ci ha detto di Dio,
e solo partendo da Gesù potremo valutare e comprendere ogni altra parola.
Ora, questa definitività della rivelazione di Gesù, è garantita solo se Gesù è davvero Dio lui stesso. In caso contrario si può sempre pensare ad una rivelazione successiva che potrà manifestare qualche cosa di nuovo, di migliore, di più completo, rispetto a Gesù. Ma questo vorrebbe dire che si può andare oltre la rivelazione che «Dio è amore» (1 Gv 4, 8), o insegnare all’uomo un’altra regia di realizzazione di sé migliore dell’amore.
C’è la possibilità che il mistero di Dio sia diverso da quello che Gesù ha rivelato attraverso il dono di sé sulla croce?
Secondo la fede della Chiesa, no! La rivelazione che «Dio è amore» è una rivelazione definitiva. E la rivelazione che la vocazione dell’uomo è l’amore è ancora una rivelazione definitiva.