Omelia Notte Santa 2024, Cattedrale di Tempio
«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). Nella prima lettura si parla del regno di Israele del nord (nel versetto che precede immediatamente il nostro testo vengomo menzionate «Zabulon e Neftali»), il regno si trova in una situazione di umiliazione, tenebra fitta ed oppressione. È infatti schiacciato dall’aguzzino assiro, che ha conquistato il paese e imposto un duro giogo.
Le tenebre di cui parla Isaia sono cifra del momento che viviamo: tenebre di una situazione di violenza diffusa. Viviamo il tempo di una guerra globale e non dichiarata che continua nell’indifferenza della nostra società e attraversa i luoghi della nostra quotidianità. Assistiamo allo sgretolamento di percorsi in cui nel tempo e faticosamente erano stati riconosciuti dignità e diritti. Viviamo l’accrescersi di manifestazioni di rabbia, razzismo e intolleranza verso gli stranieri. Le tenebre sono anche quelle di un sistema economico e finanziario che genera ingiustizia e soffoca: annienta le vite dei singoli mantenendoli nell’gnoranza e di popoli ridotti alla fame, toglie il respiro e i sogni ai giovani privandoli di speranza e futuro.
Notte e buio segnano anche le nostre vite ordinarie, i percorsi delle nostre famiglie in tanti modi: perdite di persone care, malattie, difficoltà a sostenere i ritmi di una vita sempre più complessa ed esigente, dolori, difficoltà economiche, preoccupazioni per i figli, per i loro problemi e il loro futuro, egoismi e incapacità di comunicare, incomprensioni, dissidi. Buio è tutto ciò che ci opprime e angoscia. Buio è il luogo delle nostre paure espresse ed inespresse.
Nel buio di queste tenebre, in una condizione di smarrimento l’annuncio di Isaia, profeta che ha uno sguardo lungo sulla storia, è posto al centro della lituriga di Natale: “A coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.
E’ annuncio di una luce che è entrata squarciando fessure nelle tenebre. E’ anche una promessa sulla storia che indica un orizzonte di liberazione e di pace: “tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva… ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco”. Isaia scorge un intervento di Dio che libera da pesi insopportabili e da ciò che tiene legato a logiche di oppressione e violenza. E’ un intervento che inaugura un mondo diverso, che è in pace: non ci saranno più passi marziali di soldati che avanzano per uccidere, ma tutto ciò che ha a che fare con la guerra, la guerra delle armi, ma anche l’aggressività e l’odio che incontriamo nella nostra quotidianità, sono resi vani.
Isaia indica in un bambino il segno della possibilità di inizi nuovi anche in una realtà di tenebre: “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. Questo bambino è un figlio donato: il nome di questo bambino è ‘principe della pace’. Il suo nascere apre ad una storia di pace che è l’orizzonte dove da ora è collocata tutta la storia umana.
Un bambino nel suo essere inerme, privo di difese e di strumenti di offesa, segnato dalla fragilità estrema e bisognoso di cure. Questo bambino è un figlio affidato, segno della presenza di Dio che è potente ma rovesciando i criteri della grandezza umana: non s’impone con la forza ma nel suo presentarsi indifeso scardina la logica delle armi e della guerra. Questo bambino è portatore di luce nuova, apre un orizzonte di pace. Qui si capovolge la nostra idea di onnipotenza divina.
“Non temete. Ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo. Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore che è il Cristo, Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia” (Lc 2,10-11)
Il vangelo fa scorgere nel volto di Gesù, bambino, nel momento della sua nascita, i tratti di colui che visse la sua vita come servizio fino in fondo per amore: ‘avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine’.
Dio ha deciso di abitare in mezzo a noi come uomo. D’ora in poi il luogo dove incontrarlo è nel volto delle persone, negli altri. La luce che ci dona non è per fuggire da questa storia, ma entra nelle tenebre del nostro mondo per salvare questa storia. Natale è evento di povertà e abbassamento di Dio: “Svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltatò…” (Fil 2,7-9).
Natale è irrompere della promessa e dell’annuncio che sorge un nuovo giorno: il nostro buio è luogo in cui nonostante i rifiuti dell’uomo, Dio pronuncia il suo ‘sì’: la presenza dono di un bambino, è germoglio e primizia di una fioritura in cui ciascuno di noi è coinvolto. Infatti è venuto per formarsi un popolo che gli appartenga (cfr. Tt 2,14).
Nelle parole degli angeli, messaggeri di belle notizie, c’è un annuncio a ‘non temere’: indicano inizi nuovi, invitano a mettersi in cammino, a leggere i segni della sua presenza. Una luce, anche solo una debole fiammella è in grado di attraversare le tenebre: là dove essa si leva ritorna a noi il coraggio di sollevarci. Natale è annuncio che la presenza di Dio può nascere e trovare spazio nel cuore di ogni persona. A noi sta accogliere questa presenza, farla crescere in noi. Il quotidiano, il vissuto di ogni momento e di ogni rapporto è luogo in cui far crescere tale incontro, lasciandoci coinvolgere, ponendo i nostri passi su quelli di Gesù, vivendo come lui ha vissuto. Allora, se accogliamo questo annuncio, questa buona novella, accettiamo di portare nel cuore oggi una domanda: come “vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza”? Come rendere questa parola vita ed esperienza delle nostre giornate?
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