«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio -, la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata». «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio». «Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie in Sion!» (vv. 1. 3. 9).
Nel tempo della catastrofe dell’esilio babilonese un profeta, che chiamiamo Secondo-Isaia, si fa voce di speranza e di attesa di ritorno. Il suo scritto, raccolto nei cc. 40-55, del libro di Isaia, inizia con le parole «Consolate il mio popolo» che racchiudono la sua missione.
Il popolo è invitato a sollevarsi, ad alzarsi, e a prepararsi per un ritorno, per un ormai prossimo rimpatrio; si tratta di un nuovo cammino, di una nuova uscita da un paese oppressore, che richiama quello dell’esodo. La promessa è che nel deserto Dio stesso guiderà il suo popolo su una strada che si apre inattesa.
Ecco due luoghi importanti, il deserto e la strada, che possono divenire oggetto della nostra riflessione. Molto adatti a questo cammino di Avvento che abbiamo intrapreso.
Naturalmente il deserto è una realtà concreta ed è stato una realtà storica per il popolo di Israele, ma noi, rileggendo oggi questo testo, pensiamo ai nostri deserti, a quelle situazioni di aridità, di difficoltà, di sofferenza che possiamo incontrare nella nostra vita: il deserto della malattia, il deserto del lutto, il deserto di un amore finito, il deserto di una amicizia tradita, il deserto del peccato; ognuno pensi al suo.
Queste parole che leggiamo sono dette per la nostra consolazione, il profeta parla a chi sta per affrontare il deserto, per incoraggiarlo, per rafforzarlo. Ci invita a sollevare la testa e a guardare la meta. Il profeta annuncia che Dio sta per intervenire e che camminerà ancora una volta accanto al suo popolo. La via che si apre nel deserto è una “via sacra”, una via che siamo invitati a preparare.
Questo testo del Secondo-Isaia viene citato all’inizio del Vangelo di Marco. Il testo che abbiamo ascoltato è proprio l’inizio del Vangelo, del primo vangelo scritto, e si apre proprio con una professione di fede: «Gesù, Cristo, Figlio di Dio». Gesù, colui che è l’unto, l’inviato, il Messia, è il Figlio di Dio. E Marco ci parla pure lui del deserto e ci dice che nel deserto si ode una voce che grida: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri». È un invito a muoversi, a non essere tiepidi, a darsi da fare, a compiere quanto è necessario affinché la consolazione possa giungere a noi. Ci invita ad aver fiducia, a superare le nostre inquietudini interiori, le nostre agitazioni spirituali, facendo esercizi spirituali, perché Dio non si allontani da noi.
Che se succede, non è Dio che ci punisce, siamo noi che gli impediamo di parlarci, il Signore è lì che aspetta; se noi sappiamo dare tempo all’ascolto del Signore, il Signore ci parlerà. Raddrizzare le vie del Signore, colmare le valli e abbassare i colli. Colmarle in modo che si svuotano dai pensieri terreni, dei nostri pensieri di successo, di conquista, di ciò che oscura la nostra anima la fa egoista. I colli da abbassare siamo proprio noi, cioè il nostro egoismo, il nostro sentirci i primi.
Se lasciamo fare al Signore nella nostra vita, se gli apriamo la porta lui avrò cura e tenerezza di noi. Come un pastore che si prende cura delle sue pecore, a cominciare dalle più deboli e fragili.
L’evangelista Marco fa questo discorso perché vuole presentarci la figura di Giovanni Battista come di un messaggero che prepara la via a Dio stesso: «Ecco, io manderò il mio messaggero a preparare la via davanti a me» (Mal 3,1-4). Il Battista è ‘voce’ che annuncia una svolta radicale e chiede un cambiamento dell’orientamento della nostra vita. Giovanni sceglie di stare nel deserto, lontano da tutti, dal tempio di Gerusalemme, e da lì rivolge un appello a tutti, un appello che non ha confini, per preparare la venuta di uno più forte. La sua voce è annuncio di qualcuno: di Gesù, presentato come ‘il più forte’ che battezzerà in Spirito Santo.
Il deserto allora diventa il luogo in cui il Signore ci porta per parlare al nostro cuore, lontano dai rumori, lontano dal chiasso, per aiutarci a far silenzio, perché i rumori non sono solo quelli di fuori, il chiasso lo abbiamo dentro di noi. Il deserto allora non è più un luogo arido, sterile, ma diviene un luogo fecondo perché lì si genera la Parola, è lì che Dio parla, nel silenzio.
Quello di Giovanni è un grido che nasce nel silenzio per aiutarci a fare silenzio, unica dimensione che ci permette di ascoltare e accogliere la Parola che sta per germogliare.
Giovanni ci esorta a porre attenzione solo su Gesù.
Giovanni grida nel deserto per invitarci a riconoscere le nostre vie storte e per indicarci la via da seguire, Gesù. Ci interpella su come accogliamo nella nostra vita il Signore che viene e cosa dobbiamo convertire di noi: le false ragioni, i falsi ragionamenti che abitano i nostri cuori. Quelli che ci fanno sbagliare perché sembrano veri, sembrano fondati e invece sono falsi, come il nemico ingannatore. Riconoscere ciò che siamo nell’umiltà e nell’accettazione di sé stessi. Allora il Signore arriverà con la sua consolazione, che è pace nei cuori, che ci permette di alzare la testa verso il crocifisso. Allora il nostro deserto sarà fertile, una terra rigogliosa, piena di fonti d’acqua, se sapremo riconoscere che la nostra sorgente è Gesù Cristo e lasciamo che prenda in carne in noi, in modo che il Verbo possa raggiungere ancora oggi tutti gli uomini e le donne di questo mondo, attraverso di noi.
Occorre che passiamo dalla logica del dovere a quella dell’amore. La logica del dovere è quella che fa dire: vado in chiesa perché devo, faccio l’elemosina perché devo. La logica dell’amore è quella della condivisione, vado in chiesa perché è bello condividere l’ascolto della Parola con i fratelli e le sorelle di fede, è bello condividere ciò che dal Signore ho ricevuto.
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri nei vostri cuori! Ogni persona vedrà la salvezza di Dio!
Potresti leggere anche