La pagina evangelica di Matteo che abbiamo ascoltato ci ricorda che tutti noi siamo chiamati per dono. Questo proprietario di una vigna che cerca operai che vadano a vendemmiarla ha dei comportamenti che anche a noi potrebbero sembrare un po’ strani e che potrebbero indurci a mormorazione. Potremmo considerarlo ingiusto, ma potremmo considerarlo anche uno sprovveduto che butta via il suo denaro.
Ma la parabola, come tutto il Vangelo, ci dice proprio che Dio ha una prospettiva ben diversa dalla nostra, a cui Gesù ci invita a conformarci. «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie», annunciava già il profeta Isaia.
Nella parabola evangelica il proprietario della vigna parte dalla giustizia verso i lavoratori chiamati all’alba, a cui dà quanto pattuito, ma poi fa ben più del “giusto”: offre in sovrabbondanza, oltre ogni merito, a tutti.
Ma c’è anche di più. Il nostro testo mostra quest’uomo uscire più volte di casa durante la giornata, per andare a cercare possibili operai per la sua vigna. In questo modo dà loro la possibilità di lavorare, la dignità di collaborare alla sua impresa. Questo essere scelti e chiamati è il riconoscimento della preziosità che ognuno è, del dono che può essere. Leggendo con attenzione la parabola scopriamo che il proprietario della vigna non sente solo l’urgenza di far terminare il lavoro della vendemmia, non è solo questo che lo spinge a uscire più volte, anche nell’ora più calda del giorno, a cercare lavoratori. Si accenna due volte alla condizione di queste persone che stanno «senza far nulla», in una condizione umiliante, pesante da portare, che produce sfiducia, scoraggiamento. Allora comprendiamo la compassione con cui opera quest’uomo, preoccupato per la condizione di quanti passano il tempo senza far nulla, che non possono sentirsi utili e non riescono a ottenere il necessario per la loro vita.
Ma la magnanimità di quest’uomo non viene compresa, gli operai della prima ora mormorano contro di lui. Il vero problema di costoro è il confronto che fanno e la conseguente gelosia. È da questo atteggiamento del cuore che nasce uno sguardo invidioso verso gli altri e incapace di vedere la generosa bontà di Dio. Ognuno ha una relazione personale unica con lui e una propria via da seguire. Ognuno di noi è invitato da questa pagina del Vangelo a scoprire, a riconoscere, di essere stato chiamato per dono da Dio. Siamo tutti dei chiamati per dono.
La misericordia di Dio, la sua magnanimità è la sorgente della nostra esistenza.
Di fronte alla mormorazione il proprietario della vigna risponde con una precisa parola: «Amico». Non sottovalutiamo questa parola. L’incontro con Dio è esperienza di amicizia, ricevuta gratuitamente, a cui rispondere con un atteggiamento di fiducia sincero, con affidamento. La mormorazione invece esprime il nostro non comprendere perché si pretende porre Dio nei nostri modi di ragionare e nelle nostre attese. «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie».
Dobbiamo invece riconoscere la sterilità dei nostri confronti con gli altri, quanto possa fare male, produrre del male, uno sguardo invidioso, innanzi tutto a chi lo ha. Se ci si rendesse conto della grandezza del dono di essere stati personalmente chiamati dal Signore a collaborare al lavoro nella sua vigna, nascerebbe in noi una gioia grande, una serenità indicibile. Quella con cui io posso dire di aver vissuto il mio arrivare qui, in Sardegna, e l’inizio di questo ministero pastorale.
In questa chiesa Concattedrale desidero ora riaffermare il mio impegno, dinanzi alla Chiesa delle terre di Anglona e Gallura, di confessare e custodire la fede e di esercitare, camminando innanzitutto con essa, il mio ministero.
Ovvero di adempiere al ministero affidato ai Vescovi dagli Apostoli che è stato trasmesso a me mediante il rito di ordinazione episcopale lo scorso 16 settembre.
Di predicare con fedeltà e perseveranza il Vangelo di Cristo.
Di custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata sempre e dovunque nella Chiesa fin dal tempo degli Apostoli.
Di edificare – anche questo è uno dei verbi che ho inserito nel mio motto e commentato domenica scorsa – il corpo di Cristo, che è la Chiesa, perseverando nella sua unità, insieme con tutto l’ordine dei vescovi, sotto l’autorità del successore di Pietro.
Di prendermi cura, con amore di padre, del popolo santo di Dio e, con i presbiteri e i diaconi, miei primi collaboratori nel ministero, guidarlo sulla via della salvezza.
Di essere sempre accogliente e misericordioso, nel nome del Signore, verso i poveri e tutti i bisognosi di essere di conforto e di aiuto.
Di andare, secondo l’immagine del buon pastore, in cerca delle pecore smarrite per riportarle all’ovile di Cristo.
Di pregare, senza mai stancarmi, Dio onnipotente, per il suo popolo santo e di esercitare in modo irreprensibile il ministero per la santificazione del suo popolo.
E ora, una parola a voi, cari presbiteri, della Chiesa delle terre di Anglona e Gallura. L’ordinazione sacramentale è stata per ognuno di noi un’occasione propizia per far memoria della Grazia ricevuta lungo tutta la vita, e riscoprire quanto è immenso l’amore che Dio ha per ognuno di noi. Quando ci si prepara per un nuovo ministero, sono tante le domande che affollano il cuore e la mente e che ci fanno sentire piccoli e inadeguati nei confronti della chiamata che ci è stata rivolta. Ma davanti alla grandezza dei progetti di Dio solo una cosa conta: continuare a rispondere con il nostro “eccomi” al Signore che si invita a seguirlo per essere suoi discepoli. Ascoltare la sua voce e seguirlo, sapendo di essere stati chiamati per dono, saper gioire per il nostro dono, senza confrontarci con quello degli altri. Questo tipo di confronto ci toglie la capacità di donarci con libertà.
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